Aprite quella porta – con Artemidoro di Daldi

Greco, vissuto nel II sec. d.C., Artemidoro di Daldi si dedicava all’arte dell’interpretazione dei sogni con particolare riferimento al loro potere predittivo, sulla base del principio che “il sogno è verità”.

Una verità che si rivela nel sonno perché “Quando il corpo si riposa, l’anima si muove, e non dormendo essa conosce e vede le cose visibili, ode ciò che si può udire, cammina, tocca, si duole e considera”.

Per questo, il sogno annuncia ciò che è in procinto di accadere.

Filosofo e autore di svariati scritti, tra i quali alcuni sull’interpretazione dei sogni, Artemidoro distingue tra i sogni veri e propri (quelli predittivi) e le immagini rappresentate dalla mente quando il sonno ha il sopravvento. Definiti “insogni”, questi ultimi non hanno alcun carattere premonitore ma ammoniscono sul presente, essendo solo desideri momentanei come l’affamato che sogna di mangiare o l’assettato che sogna di bere. La loro visione è resa possibile dall’effetto che tali bisogni suscitano. Così si esprimono passioni, paure, felicità, tristezza, istinti primari, condizioni fisiche e dell’anima.

Per Artemidoro il sogno è movimento, riferito a qualcosa di positivo o negativo che accadrà a breve o più in là nel tempo, e che l’anima predice con immagini naturali e specifiche per condurre il sognatore verso la conoscenza di contenuti già appresi con l’esperienza reale. Tramite il sogno l’anima esorta il sognatore e riguardare e considerare ciò che egli ha già sperimentato. Tanto da poter affermare che tutti, dopo aver visto e compreso in sogno determinate cose, riscontrano la loro realizzazione o che solo per il fatto di averle sognate si sono effettivamente avverate.

Un’affermazione, questa, che potrebbe trovare la sua parte di verità anche con riferimento alle condizioni di salute del sognatore.

Essendo l’esperienza onirica del tutto personalizzata, strettamente circoscritta al proprio universo individuale, può accadere, ad esempio, che la psiche, liberatasi nel sonno dal vincolo della veglia, riesca a percepire i minimi segnali di una condizione fisica che sfugge all’attenzione quando da svegli si è assorbiti dalla vita razionale.

Ne consegue che il sogno può far presagire l’esordio di un processo infiammatorio, di una malattia che poi si manifesterà realmente.

Allo stesso tempo, la soluzione di una questione reale apparentemente ingarbugliata si può svelare proprio attraverso il sogno, predisponendo il sognatore a comportarsi in un determinato modo.

Secondo Artemidoro i sogni si distinguono in contemplativi, immediatamente concretizzabili, e allegorici, che si realizzeranno nel tempo.

Questi ultimi, ad esempio, sostituiranno l’immagine della propria amata con un cavallo, o un qualsiasi animale femmina, un abito, il mare o altro elemento somigliante alla figura reale, non tanto nelle sembianze fisiche, ma nelle sensazioni che evocano tali allegorie.

I sogni allegorici possono essere di cinque tipi:

  • Sogni propri, quando il sognatore vede sé stesso agire o soffrire e solo a lui accadrà qualcosa di positivo o negativo.
  • Sogni alieni, quando il sognatore vede un altro agire o soffrire e ciò che avverrà riguarderà solo l’altro.
  • Sogni comuni, quando si sognano cose abituali e riconducibili all’esperienza di tutti.
  • Sogni pubblici, che si svolgono in luoghi pubblici, quali un porto, un tempio, una città ecc.
  • Sogni mondani, quando il sole, la luna, i corpi celesti e gli elementi naturali sono assenti o non sono rappresentati nel loro consueto ordine. Definiti anche come “sogni cosmici”, comprendono la visione di eventi naturali catastrofici, con la terra e il mare che si riversano in modo anomalo, creando spaccature, cadute, crolli ecc. Oggi verrebbero interpretati come uno stato di disordine e disorientamento personale del dormiente e della sua difficoltà nel far convivere aspetti tra loro contrastanti. Ma Artemidoro dà loro un significato diverso. Sognare un terremoto, ad esempio, raffigura nella disgregazione degli elementi che si separano e non sono più trattenuti nello stesso luogo, la liberazione dai debiti e dalla prigione, se il sognatore è afflitto da tali problemi,

Artemidoro descrive, poi, i sogni speculativi, in cui ciò che il sognatore vede corrisponde alla realtà. Un esempio viene dato dal marinaio che sogna il naufragio della nave e, svegliatosi a causa del sogno, riesce a mettersi in salvo.

Sebbene i sogni siano opera dell’anima, e Artemidoro li abbia classificati secondo criteri precisi, a volte in modo arzigogolato, altre anticipando le più moderne interpretazioni, non tutti i sogni sono interpretabili. Alcuni elementi, infatti, sono privi di significato e appaiono in sogno solo per arricchire la scenografia. Sarà il contesto e il luogo in cui si svolge la rappresentazione onirica a svelarne il senso, “perché l’anima per ornamento più cose considera, e spesso dalle parti dimostra il tutto”.

Anche sui sogni ricorrenti Artemidoro dice la sua; così come ripetiamo spesso la stessa cosa per darle importanza quando parliamo, allo stesso modo l’anima ripropone più volte ciò che è degno di essere ricordato, vedendone con largo anticipo l’accadimento. Considerando che non sì sta sempre assorti sulle medesime faccende, il lasso di tempo più o meno lungo che intercorre tra un sogno ricorrente e l’altro, viene occupato da altri sogni.

L’origine dei nomi dei contenuti onirici, nello specifico in greco, è per Artemidoro una chiave interpretativa molto importante. Ma se un nome non è conforme alla qualità da esso espresso, si devono considerare altri elementi. Poniamo il caso in cui si sogni una bambina che si chiama Gaia, rappresentata mentre piange. Si dovrà allora tenere conto delle condizioni particolari in cui si trova la persona sognata.

Dagli scritti di Artemidoro pare che sogni tuttora ricorrenti fossero condivisi anche dagli antichi. Uno di questi riguarda i denti. Perderli rappresenta evidentemente un timore atavico visto che esserne privi significa non potersi nutrire in modo adeguato, diventando così vulnerabili e fragili. Ma Artemidoro va oltre, affermando che perdere i denti presagisce la perdita dei beni posseduti oppure di qualcuno, probabilmente un giovane se a cadere sono quelli davanti, di mezza età se cadono i premolari, un anziano se a cadere sono i molari.

I denti che cadono tutti in una volta rappresentano l’abbandono e l’allontanamento dalla casa, considerando la bocca come la dimora delle persone che la abitano, ovvero i denti, che corrispondono agli uomini di più grande valore – quelli di sopra – mentre quelli di sotto raffigurano gli esseri più infimi.

Tuttavia, cambiamenti positivi nella vita del sognatore sono annunciati da denti nuovi al posto di quelli vecchi caduti, purché i nuovi siano migliori di quelli persi. Se i denti caduti erano marci, il sognatore si libererà di ogni fastidio.

Sognare di avere denti d’oro è per i grandi oratori di buon auspicio, in quanto le parole formulate saranno di simile valore.

Altri sogni degli antichi, tuttora comuni, includono quello di volare, come manifestazione di felicità, Più il sognatore vola in alto, senza ali e con il corpo dritto, più si mostra superiore e migliore di chi lo circonda. Volare con le ali porta bene al servo, liberandosi dal giogo del proprio signore.

La vista è uno degli aspetti su cui Artemidoro si sofferma ampiamente, asserendo che sognare di vedere poco equivale a scarsità di denaro. Chi vede meno non riesce a vedere cosa ha davanti, ma se a vedere poco e male è un atleta che corre, ciò è di buon auspicio perché chi corre davanti a tutti non può vedere chi si lascia alle spalle, ovvero i perdenti.

Sognare di non vedere è propizio per il poeta, in quanto non verrà distratto dalla vista di cose e colori e potrà concentrarsi sulla propria arte. Infatti, di Omero, si dice fosse cieco.

Se un navigante sogna di avere tre o quattro occhi, il ritorno in porto sarà assicurato perché gli occhi attraggono luce e splendore. Del resto, sognare di avere un terzo occhio rappresenta il bisogno di avere più luce, non essendo sufficiente la propria.

La nave, importante mezzo di trasporto presso gli antichi, è ricca di significati. Se si spezza e si rovescia in mare o sbatte contro gli scogli presagisce qualcosa di negativo, ma non per il servo. Essendo la nave simile a chi la governa e la comanda, il suo naufragio libererà il subalterno da ogni vincolo.

Meglio sognare navi grandi, perché possono trasportare pesi maggiori piuttosto che piccole ed esposte ai pericoli del mare. Se il sognatore vuole navigare, ma qualcuno o qualcosa glielo impedisce significa che un progetto non andrà in porto.

Molte visioni attingono dal mondo animale per rappresentare innumerevoli significati.

Ingannatori e buffoni appaiono spesso sotto forma di rane, le quali tuttavia portano bene se chi le sogna è abituato a guadagnare. Anche sognare un delfino porta bene perché questa creatura marina va dove il vento è in procinto di alzarsi, permettendo di navigare, ma sognarlo fuori dall’acqua è di cattivo presagio perché annuncia la morte di un caro amico.

Formiche operaie, e non quelle alate, portano bene al contadino, annunciando copiosi raccolti. Infatti, dove non ci sono semi non si vedranno formiche. Per contro, sognare le formiche intorno al corpo è presagio di morte, in quanto figlie della terra, fredde e nere.

Tori, cavalli e cavalle nella loro mandria, ovvero non addomesticati, indicano individui ribelli e superbi.

Il leone, simbolo di forza e potere, presagisce ai sottoposti benefici elargiti da una qualsiasi autorità, ma se è minaccioso porta paura e malattia. I cuccioli di leone annunciano la nascita di figli. Gli animali selvatici in generale rappresentano i nemici, con i quali è sempre meglio uscirne da vincitori piuttosto che vinti. Se un povero sogna di combattere contro una bestia feroce, ne trarrà beneficio, in quanto nutrirà sé stesso e la sua famiglia con le sue carni.

Gru e cicogne sognate nel medesimo stormo annunciano l’assalto di ladri e nemici. Se viste in inverno annunciano vento e pioggia oppure siccità se sognate in estate. Viste da sole sono propizie a mettersi in viaggio perché partono e tornano per loro natura. Favoriscono le nozze e la nascita di figli, soprattutto le cicogne in quanto maschio e femmina accudiscono i loro piccoli.

Le uova, simbolo primordiale della vita, preannunciano profitto perché molto nutrienti, ma se sono numerose minacciano preoccupazioni e problemi con i figli. Infatti, i pulcini raspano la terra alla ricerca di cose nascoste.

Così, mentre il corpo si riposa, l’anima è in perenne movimento e trasformazione, passando tramite una scala da un luogo all’altro, con l’annuncio di un miglioramento o un pericolo. Si svela nell’innocenza di un bambino che fa volare l’aquilone o in una creatura, tanto dolce e amabile nella vita reale, che nel sogno richiama un’inquietante Cappuccetto Rosso mentre si avvia risoluta nel folto del bosco, e non si sa bene se per fare legna o vendicarsi di qualche bestia feroce o torto subito. Ritorna poi placida come l’acqua di un mare calmo o una casa accogliente con il camino acceso, per ritrovarsi senza macchia né paura come un cavaliere medievale, passando per i meandri del proprio castello interiore alla scoperta di tesori inaspettati.

I cento anni della Callas

Una voce formidabile, venuta alla luce già nell’infanzia, ascoltando e cantando sulle note di Rosa Ponselle, soprano classe 1897, e di tre canarini.

Una personalità complessa, condizionata dal rifiuto da parte della madre che desiderava un figlio maschio. La costante propensione materna a usare lei, Cecilia Sophia Anna Maria Kalegeròpulos in arte Maria Callas, al fine di perseguire i propri interessi, sfruttando la “gallina dalle uova d’oro” sin dalla sua tenera età.

Un grande senso di rivalsa, inseguendo e ottenendo il successo, non solo in campo artistico ma anche nel possesso di quei beni simboli e stile di vita comunemente identificati con l’ascesa nella scala sociale; gioielli, tanti, preziosissimi e appariscenti, elegantissimi e sfarzosi abiti di alta moda, frequentazioni da jet set, un matrimonio con un uomo facoltoso, interrotto per diventare l’amante di un ricco e avventuriero armatore che poi la lascerà per un’altra donna. Tutti elementi che non mancherebbero nella più classica delle opere teatrali cantate e musicate.

Una forte volontà e abnegazione nell’apprendere e progredire nel bel canto.

Ma soprattutto un grande bisogno di amore, mai realmente appagato, che colmasse l’ancestrale vuoto affettivo che l’aveva accolta dalla nascita.

Questa, in sintesi, la panoramica su Maria Callas, di cui ricorre il centenario della nascita il 2 Dicembre di quest’anno.

Indimenticabile soprano, passata alla storia come La Divina, che riuscì a fare della sua voce lo strumento di immersione totale nell’arte della musica e dei virtuosismi vocali.

Matilde, l’indomita rossa

Matilde di Canossa

Non tutti i nobili del Medioevo si dedicavano di buon grado alla guerra.

Alcuni di loro, forse molti di più di quanto si possa pensare, avrebbero preferito e anelato il ritiro nella pace dei chiostri tra le mura dei monasteri.

Matilde di Canossa, nonostante fosse battagliera, coltivava un simile anelito. Appartenendo a un elevato lignaggio, la posizione di badessa avrebbe probabilmente fatto al caso suo. In fin dei conti non le sarebbe andata poi così male, per una donna dinamica come lei. Avrebbe potuto continuare ad amministrare i suoi feudi, occuparsi di questioni giuridiche ed economiche, dedicandosi a faccende pratiche – ammesso che ne avesse avuto voglia – e non solo alla spiritualità. 

Infatti, superati i 40 anni, dopo due matrimoni falliti e senza eredi, quell’anelito si stava quasi trasformando in una possibilità concreta. Se non fosse stato per papa Gregorio VII, grande amico e sostenitore che la dissuase e la convinse a restare sulla scena politica, la sua vita avrebbe cambiato decisamente corso.

Evidentemente, il senso del dovere ebbe la meglio. Lo stesso per cui sposò dapprima un uomo, Goffredo il Gobbo, di cui non era innamorata e più tardi un sedicenne, Guelfo di Baviera, di 27 anni più giovane di lei, che a quanto dicono le cronache del tempo non apprezzò la sua femminilità matura.

Entrambi, ovviamente, sposati per “ragion di Stato”. vale a dire per conservare e ampliare i propri domini.

Dal primo se ne andò, facendo armi e bagagli, e non cambiò opinione quando lui  la raggiunse per convincerla a ritornare.  Del secondo, non si fece scrupolo di cacciarlo in  malo modo, sentendosi rifiutata. 

Ciò nonostante, tutta la vita di Matilde sembra seguire il file rouge di un obbligo morale in cui religiosità e ideale politico si mischiavano, agli albori dei grandi cambiamenti della società che da feudale si avviava a organizzarsi in Comuni autonomi, con tutto ciò che ne conseguiva.

Ogni cambiamento, si sa, porta con sé grande fermento, accesi contrasti, strenua difesa del vecchio modello in contrapposizione a quello che va manifestandosi.

Così, Matilde fu fervente e convinta sostenitrice del mondo a cui aveva sempre appartenuto; quello feudale a favore del potere papale rispetto a quello imperiale.

Ma muoversi sulla scena politica e privata senza la presenza di un marito era una condizione molto scomoda e impegnativa che poteva suscitare sospetto, stizza, perfino invidia e malignità.  Tanto che Matilde si prese l’epiteto di femmina pettegola e ficcanaso per interessarsi di cose che non le competevano. Nello specifico, di politica. Altre dicerie insinuarono che l’amicizia  con papa Gregorio VII celasse in realtà una relazione amorosa. Per contro, i suoi seguaci le conferirono un alone di santità nella costante battaglia a favore del potere papale. 

Reazioni, del resto, che non sarebbero tuttora rare, bensì subdolamente serpeggianti nell’eterno stereotipo;  o moglie, o santa, o mondana.

Castello di Bianello (Reggio Emilia), insediamento CanossianoCastello di Bianello (Reggio Emilia), insediamento Canossiano

Fatto sta che la vita per Matilde non fu mai facile, confrontandosi spesso con situazioni alquanto impegnative, di isolamento in ambienti selvaggi e solitudine. Una vita ben lontana da quella che una tipica contessa del tempo avrebbe sperimentato.  Molteplici furono le circostanze in cui la donna doveva essersi sentita sola nei suoi guai. Subito dopo l’assassinio del padre, che avvenne quando lei aveva quasi sei anni, perse il fratellino e la sorellina.

La piccola Matilde imparò presto l’arte della sopravvivenza.

Davanti a sé, un futuro imminente di responsabilità e grane da affrontare insieme alla madre. Il fatto poi che quest’ultima fosse unita con legami di parentela a regnanti germanici, non facilitava di certo la gestione dell’eredità capitata all’improvviso tra capo e collo.

Entrambe avevano ereditato il pesante fardello dei feudi Canossiani in un periodo turbolento, contraddistinto da feroci lotte per le investiture, che vedeva contrapposti il papato e l’impero nella nomina dei propri alti rappresentanti. Entrambe avrebbero preferito rinunciare a tutto e chiudersi in monastero.

All’età di 30 anni, rimasta orfana di madre, toccò a Matilde occuparsi di tutto.

Fu coinvolta direttamente, dal 1080 al 1092, nella lunga e lacerante guerra dalla parte del papa contro l’imperatore. Una guerra, costellata da vittorie, ma anche cocenti sconfitte. Fu accusata di seminare odio tra gli stessi cristiani e dovette confrontarsi con vassalli sempre più interessati a rafforzare il proprio potere, piuttosto che rincorrere i suoi stessi ideali. 

Nel corso degli anni, poi, molti dei suoi sostenitori la tradirono o morirono. 

Sempre in viaggio in lungo e in largo nei suoi vasti possedimenti, dalle terre a nord delle rive del Po fino a quelle laziali, accompagnava le sue truppe. Riposava o trovava rifugio nelle sue numerose, austere fortezze, disseminate su impervie alture o circondate da foreste intricate. A volte era costretta perfino a dormire all’addiaccio, come un soldato.

La storia la racconta come organizzatrice e fautrice di sanguinose battaglie, ma anche come donna soave, raffinata, a tratti malinconica.  Di certo, dotata di un forte spirito di sopravvivenza e autodeterminazione. 

Alla fine, la guerra intrapresa contro l’imperatore, Matilde la vinse, a modo suo.

                                          Castello di Rossena, a difesa di Canossa

rossena-3

Nell’ottobre del 1092 la rocca di Canossa, assediata dalle truppe imperiali e difesa da quelle numerose che la contessa era riuscita a richiamare nell’ultimo, decisivo tentativo di non farsi sopraffare, sparì improvvisamente, avvolta dalla nebbia. 

Enrico IV, che vi era giunto agguerrito per giocarsi il tutto per tutto, fu costretto a far ritirare i suoi soldati. disorientati e smarriti di fronte alla fortezza fantasma. 

Nel mese di luglio dell’anno 1115 fu la contessa di Canossa a scomparire per sempre, o quasi. 

Dopo una vita in bilico tra l’essere belligerante per vocazione familiare, ideale religioso e politico o senso di dovere, e diventare monaca, aveva realizzato il suo intento; ritirarsi in monastero per condurre una vita contemplativa. forse riflettendo sugli orrori della guerra a cui aveva assistito in prima persona. 

Matilde trascorse tra la pace dei chiostri, ma afflitta dalla gotta, malanno dei benestanti, gli ultimi sprazzi della sua vita. 

La sua salma, probabilmente trattata per renderla eternamente presente, si svelò ancora intatta secoli dopo.

In tre circostanze, nel 1445, agli inizi del 1600 e nel 1644, fu esposta al pubblico che ne rimase impressionato per lo stato di conservazione. 

Tra i capelli ingrigiti della donna, trapassata alla soglia dei settant’anni, spiccavano ancora ciocche di colore rossastro.

Chiromanti

The Fortune Teller (Simon Vouet – 1617)
La Chiromante (Caravaggio – 1599)

Dante settecento anni dopo

C’erano una volta i guelfi e i ghibellini, i primi dalla parte del papato, gli altri dalla parte dell’imperatore.

Ma poi i guelfi si divisero in bianchi e neri, i primi vedevano sempre meno di buon occhio l’ingerenza del papato nella vita politica, però non erano proprio come i ghibellini, i neri invece tolleravano per interesse l’incondizionato controllo papale nella politica e nell’economia.

Questo era lo scenario nel quale Dante Alighieri nacque, visse, peregrinò e morì da esiliato.

Castello di Poppi, Casentino

E proprio l’esilio fu la molla che fece scattare la stesura della Comedia, poi ribattezzata Divina Commedia da Boccaccio.

Quel titolo, un po’ salvava  l’opera e il suo autore da quell’alone di eresia, più politica che religiosa a dire il vero, ma che non evitò il rogo delle sue precedenti opere, una volta che i guelfi neri si ripresero Firenze.

E al rogo ci sarebbe finito anche lui se fosse rientrato a Firenze, tornando da Roma dove Papa Bonifacio VIII apposta lo aveva trattenuto più del necessario.

All’inizio si erano inventati un’ammenda da pagare, oltre a varie confische e altri capi di accusa, per “redimere” l’avversario, che si guardò bene di onorare la prima, e di sottoporsi al processo per le seconde.

Forse, oltre ad essere un guelfo bianco, Dante stava sulle scatole a molti anche per la sua appartenenza ai Fedeli d’Amore, confraternita che si riuniva in segreto, in opposizione alla corruzione della Chiesa, utilizzando un linguaggio criptico comprensibile solo agli adepti, nel quale “piangere” significava “scappare” ad esempio.

All’inizio del suo esilio Dante cercò ospitalità non troppo lontano da casa, a Pistoia, in Lunigiana e nel Casentino.  

Con gli altri guelfi bianchi esiliati si unì anche ai ghibellini, nella speranza di poter tornare presto a casa, ma fu tutto vano.

A un certo punto, Dante decise di continuare a fare l’esiliato per conto suo, buttandosi a capofitto nella sua Comedia.

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, di ritorno da Venezia dove si era recato nel ruolo di ambasciatore,  morì a 56 anni  in preda a una febbre malarica.

Dopo settecento anni ancora lo si ricorda,  e si capisce il perché.

Basta leggere o rileggere la sua Comedia, tragicamente o beffardamente sempre attuale.

Anche dopo sette secoli, o giù di lì.

Metrodora e l’aromaterapia

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“Prendi solo quello che ti serve” non è solo una massima di vita, ma anche il consiglio di Metrodora per dosare in giusta quantità gli ingredienti di un impacco rigenerante da lei creato.

Metrodora, chi era?

Se la sua collocazione storica è incerta, pare fosse nata fra il 200 e il 400 d.C., quella geografica è sicura; l’Egitto, da tempo inglobato nelle province dell’impero romano.

All’incirca di quel periodo sono pervenuti ritratti molto realistici di personaggi ben curati, i cui lineamenti possiamo trovare ancora oggi nei paesi mediterranei (incluso il nostro), a prova del fatto che la cura della persona è sempre stata una pratica diffusa.

Ritratti del Fayum, Egitto (100. a.C- 300 d.C.)

Tra una scorreria e l’altra, la fame, le malattie e la miseria, vi erano momenti di relativa pace e prosperità che inducevano a occuparsi anche dell’aspetto e del benessere fisico, oltre alla necessità principale di sopravvivere.

Considerando gli ingredienti dei preparati di Metrodora, sembra che molti fossero di facile reperibilità; euphorbia, pepe, alloro, semi di lino, latte, aceto, farina di frumento, fieno greco, argilla, saponaria, ciclamino, per citarne alcuni. Ne consegue che numerosi dei suoi preparati non fossero solo appannaggio dei benestanti. Bastava fare un giro nell’orto, tra le piante che crescevano spontanee nei dintorni e sacrificare piccole scorte di alimenti nella dispensa di casa.

Ma Metrodora non era solo un’esperta in cosmetica. Era soprattutto una medichessa, donna medico, medica o come dir si voglia. La prima, nella storia, a scrivere un trattato medico, meticolosamente redatto in ordine alfabetico e dal titolo ” Delle Malattie delle Donne”.

Particolarmente ferrata in tematiche femminili, si occupava anche di disturbi di altro genere, tra cui quelli febbrili e malaria, gastrici, reumatici e da trauma, attingendo dagli insegnamenti di Galeno e Andromaco.

Ma nelle sue ricette non potevano mancare anche quelle che contemplavano la profumazione degli ambienti. L’utilizzo della fumigazione e degli incensi, infatti, non era solo una pratica sacrale per propiziarsi la benevolenza divina, ma serviva anche per purificare l’ambiente e il vestiario.

E con gli agenti patogeni gli antichi dovevano conviverci abitualmente, pur non sapendone quasi nulla, ma almeno non disponevano né di mezzi né di capacità per maneggiarli, spezzettarli, ricomporli e disperderli volontariamente o per negligenza.

Così, Metrodora consigliava la fumigazione di resina di benzoino (Styrax officinalis) dalle proprietà antibatteriche, di aquilaria (l’attuale agarwood) dal profumo intenso, antinfiammatorio, antiasmatico e rilassante, di sandalo, antisettico e decongestionante, di incenso, dalle proprietà antibatteriche.

Inoltre, suggeriva di bruciare chiodi di garofano, dalle proprietà antisettiche ed antibatteriche, radice di iris, dalle proprietà antinfiammatorie (tuttora utilizzata in età infantile da masticare all’inizio della dentizione per alleviare il dolore), lavanda, dall’effetto antibatterico, legno di rosa, dalle virtù antinfettive e legno di gelsomino, dalle proprietà antispasmodiche e analgesiche.

Si cercava, insomma, di sopperire alla mancata conoscenza di allora con quanto la natura metteva a disposizione, sempre nella giusta misura e in base all’esperienza acquisita.

Donne con le ali: Amelia Earhart

Amelia Earhart (Atchison, 24 luglio 1897 – Oceano Pacifico, dispersa il 2 luglio 1937)

Amelia Earhart (Atchison, 24 luglio 1897 – Oceano Pacifico, dispersa il 2 luglio 1937)

Se ogni vita è speciale a modo suo, quella di Amelia Earhart, lo è stata ancora di più. Nata nel Kansas nel 1897 e cresciuta secondo i classici canoni vittoriani, scoprì a 23 anni che il volo, e non un matrimonio tradizionale, era la sua vera vocazione. Forse, per scongiurare la noia e il timore che non potesse mai accadere nulla di nuovo.

La ispirarono i voli acrobatici degli aerei in legno e stoffa a cui aveva assistito per la prima volta, in compagnia del padre.

Amelia Earhart

Amelia Earhart

Risoluta, si mise a guidare i camion per mettere da parte i soldi e prendere il brevetto di pilota, seguito poi dall’acquisto del suo primo aeroplano. Anni dopo, riuscì a comprarne un altro, questa volta, un bimotore costruito in metallo, che fece dipingere di giallo fiammante.

Se non fu la prima vera donna pilota, preceduta da altre che all’inizio si erano perfino avventurate da sole in mongolfiera, fu in ogni caso la prima a osare imprese mai realizzate fino ad allora.

All’insegna del motto “Voglio tutto e sempre” e confidando sempre nella fortuna, nel 1928 fu la prima donna pilota ad attraversare  l’Atlantico e nel 1932 la prima ad effettuare un volo coast-to-coast con partenza e arrivo a New York.

Infine, inseguì il sogno di fare il giro del mondo, volando sopra l’equatore.

Nonostante mesi di addestramento, l’impresa fallì. Si persero le sue tracce a due terzi del tragitto, esattamente a 4.500 km dalla Papua Nuova Guinea e a 8.350 km dalla costa messicana.

Amelia Earhart

Amelia Earhart

La sua scomparsa, presto divenuta uno dei più grandi misteri nella storia dell’aviazione, ha aperto la strada a svariate ipotesi. Dallo spionaggio, alla presunta scelta di restare a vivere tra i pescatori su un’isola incontaminata della Papua Nuova Guinea. Dalla cattura e relativa soppressione da parte dei Giapponesi fino al più probabile incidente aereo.

Gli ultimi segnali radio farebbero infatti pensare alla necessità di doversi alzare parecchio di quota per evitare le nuvole fitte e il forte vento, in una zona del mondo e del cielo che risente di repentini cambiamenti atmosferici.

Uno sforzo, per gli aerei di allora, che richiedeva un pericoloso  ed eccessivo utilizzo di carburante, con il conseguente rischio di esaurirlo tutto proprio mentre si era in volo.

Oppure, esausta dopo diciotto ore di volo, avrebbe affidato il comando del velivolo  al navigatore Fred Noonan, con cui condivideva l’abitacolo. Già noto per i suoi problemi con l’alcol, l’uomo avrebbe contribuito all’esito nefasto dell’impresa.

Dopo due settimane dall’ultimo contatto radio, le ricerche furono sospese, e il fatto quasi dimenticato.  Sì, “quasi”, perché nei decenni successivi,  furono fatti  di tanto in tanto alcuni tentativi per svelare il mistero. L’ultimo, in ordine di tempo, ricondurrebbe ad alcuni presunti resti della donna, trovati sull’isola di Nikumaroro nell’arcipelago delle Isole della Fenice, in pieno Atlantico.

Amelia Earhart

Amelia Earhart

La loro veridicità, tuttavia, si baserebbe sulla tesi che “Finché non viene provato il contrario, vale l’ipotesi che lo sia”.

Comunque sia andata, pensando ad Amelia Earhart, donna eclettica e anticonvenzionale, che si era dedicata anche alla poesia e alla fotografia, sorge spontanea una domanda: “Ma così speciali e fuori dal comune, si nasce o si diventa?”

John Singer Sargent, pittore cosmopolita

In the Luxembourg Gardens by John Singer Sargent

“Un americano nato in Italia, educato in Francia, che sembra un tedesco, parla come un inglese e dipinge come uno spagnolo”, così definiva John Singer Sargent il pittore impressionista William Starkweather.

Come poteva essere diversamente visto che già in tenera età, il piccolo John era sempre in giro per mezza Europa insieme a mamma e papà?

La Verre de Porto by John Singer Sargent

Figlio di americani colti e con una certa posizione sociale, era nato a Firenze nel 1856, dopo che i suoi avevano lasciato l’America, cercando di dimenticare una sciagura familiare.

Tra paesi nuovi, gente diversa e lingue incomprensibili, non gli doveva certo mancare lo spunto per raffinare lo spirito d’osservazione già innato, diventando da grande il ritrattista più rappresentativo dell’800. Ma non solo, anche un eccellente pittore paesaggista.

Dettagli minimi, spesso accompagnati da contorni non ben definiti, fanno capire come John Singer Sargent fosse scrupolosamente attento a non lasciarsi sfuggire alcun particolare, senza diventare pedantemente perfezionista.

John Singer Saegnet – Autoritratto

Minuscoli punti luce, come lo stesso tipo di riflesso nella spilla tra i capelli e di quella puntata sull’abito della donna  che  si accompagna al lieve luccichio sul vetro del bicchiere e della bottiglia di porto, nell’omonimo quadro, sembrano fatti apposta per catturare l’occhio, emergendo dalla luce bassa della stanza.

Il fumo della sigaretta dell’uomo in compagnia della dama in abito rosa tenue, di cui richiama i pizzi del cappello e  gli alberi sulla sinistra nei giardini di Lussemburgo, fanno quasi supporre che l’idea del quadro era nata proprio da quei piccolissimi dettagli.

Tutto il resto, forse, passava in secondo piano.

John Singer Sargent:  The cosmopolitan painter

“An American born in Italy, educated in France, who watches like a German, speaks like an Englishman and paints like a Spaniard”, so John Singer Sargent spoke of himself.

How could it be otherwise, considering that since he was a child he was always around Europe along with mom and dad?

He was born in Florence in 1856 as the son of educated, well-off  Americans, who left the States, trying to forget a family disaster.

Living in new countries, among different people and unintelligible languages, he certainly did not lack the inspiration to refine his already innate spirit of observation, that allowed him to become later not only the most representative portraitist of the 19th century, but an excellent landscape painter, as well.

Minimal details, often matched with undefined outlines, make it clear how John Singer Sargent was scrupulously careful not to miss any single little thing, All the same, he avoided to be a boring perfectionist.

In the picture “The Glass of Port”, for example, reflections of both brooches, the one in the woman’s hair and the other on her dress, and the glint on the glass and the bottle of port wine feature  tiny points of light, catching the eye in the low light room.

The cigarette smoke of the man in the company of the lady in pale pink dress, recalling the laces of her hat and the trees on the left in the “Luxembourg gardens”, make one suppose that the painting’s inspiration was suggested by such small details.

Maybe, the rest of the painting had to stay in the background.

Milano 2018 e Frida Kahlo

Frida Kahlo a Milano

Ormai, non manca molto alla fine del 2018 e, inevitabilmente, si avvicina il momento di fare bilanci e resoconti.

Ripensando ai personaggi che hanno popolato maggiormente la scena milanese nel corso di quest’anno, per esempio, spicca senz’altro la figura dell’artista messicana Frida Kahlo.

L’inizio degli eventi a lei dedicati era stato annunciato dall’esposizione delle sue opere al Mudec (Museo delle culture di Milano), conclusasi a giugno.

Intorno a questa mostra che ha ospitato tutte le opere dell’artista messicana esposte al Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e alla Jacques and Natasha Gelman Collection, si è svolta una girandola di eventi e manifestazioni varie in giro per la città.

Forse, la manifestazione più spettacolare, rimasta impressa nella mente di chi ha potuto partecipare, è stata  la proiezione di gigantesche slide dei quadri dell’artista sulle facciate dei palazzi nella periferia milanese.

Con musica messicana a tema in sottofondo, giochi di luci e ombre ed eventi correlati alle varie serate, il  tributo alla grande artista messicana, dalla sofferta vita privata e la fervida creatività, non ha avuto eguali nella storia artistica e culturale della città, caratterizzando il 2018.

In molti si augurano che, oltre alla grande Frida Kahlo, altri personaggi molto amati e popolari in ambito artistico, verranno celebrati nel prossimo futuro con eventi ugualmente spettacolari.

Milan 2018 and Frida Kahlo

By the end of the year coming soon, the time for evaluating and summing up what 2018 has taken along is inevitably here.

If one thinks of the characters who have been mostly celebrated in Milan in 2018, for example, Mexican artist Frida Kahlo undoubtedly stands out.

The beginning of the events dedicated to her was announced by the exhibition of her works at the Mudec (Museum of Cultures of Milan), which ended in June.

In the wake of this exhibition hosting all the works of the Mexican artist shown at the Museo Dolores Olmedo in Mexico City and at the Jacques and Natasha Gelman Collection, various events and happenings took place around the city.

Perhaps, the most spectacular event that mainly caught the imagination of those who were present, was the screening of giant slides showing the artist’s paintings on the building facades in Milan suburbs.

In the background, Mexican theme music, plays of lights and shadows as well as related entertainment occasions like buffets and social gatherings did the rest.

The tribute to the great Mexican artist had no equal in the city’s artistic and cultural life, thus featuring 2018 in Milan.

Many people hope that after the great celebration of Frida Kahlo, whose life was marked by unfortunate events along with great creativity, other beloved and popular artists will be celebrated with equally spectacular events in the near future.

Scena galante di Giuseppe Bonito

Scena galante, di Giuseppe Bonito (metà 1700 circa)

Giuseppe Bonito, pittore napoletano nato nel 1707 e vissuto fino a 82 anni, riproduce in questo delicato dipinto dettagli particolareggiati di tutto rispetto.

Giuseppe Bonito (Castellammare di Stabia 1707 – Napoli 1789)

Nei suoi ritratti, le persone sembrano diventare reali, oltrepassando la pura rappresentazione.

Personaggi del popolo, figure comuni che si incontrano dove si abita, oltre ad esponenti di corte, si arricchiscono di tratti psicologici sullo sfondo di suggestive atmosfere sentimentali.

Che piacciano o meno, le sue opere spiccano per la riproduzione di situazioni familiari, popolari o dall’immediato impatto comunicativo.

Ragazze che giocano con un gatto, di G.Bonito

Un esempio è dato da questo quadro, intitolato “Ragazze che giocano con un gatto”, mostrando dettagli che osservati da un punto di vista moderno risultano davvero curiosi.

Ritratto di dama in abito rosa, di G. Bonito

Ritratto di dama in abito rosa da casa, di G. Bonito

Molte delle opere di G. Bonito sono finite nelle collezioni private e oggetto di transazioni da parte delle case d’aste, spesso straniere, come questo “Ritratto di dama in abito rosa da casa”.

 

 

 

 

 

 

 

 

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