“Non ci sono più le mezze stagioni” non è più solo un luogo comune, uno stralcio di conversazione da ascensore o in coda da qualche parte. È una consuetudine che ormai si ripresenta puntuale da un po’ di anni.
Giorni e giorni continui di pioggia e nuvolaglia incombente mettono a dura prova anche l’umore dei più indomiti e ottimisti, quanto meno alle nostre latitudini.
Solo un fugace sprazzo di sole, ogni qualche settimana, fa intravedere tra i palazzi, le montagne in lontananza spropositatamente innevate per la stagione. Meglio approfittare dell’attimo fuggente, quindi, prima che arrivi un inverno arido e secco, che detta così suona già un’assurda contraddizione.
Ma allora, questo riscaldamento globale? Sarà proprio lui che, paradossalmente, fa aumentare l’umidità e le piogge? Oppure non c’entra per niente?
E tutta quell’acqua? Se venisse immagazzinata in enormi cisterne o trasportata in acquedotti di acqua piovana verso le terre più aride e calde, paleremmo ancora di siccità, dopo qualche mese o a migliaia di chilometri? Già, ma si potrebbe obiettare che quell’acqua andrebbe depurata, anche solo per irrigare i campi.
Cade ovunque, e in certi paraggi si porta appresso una bella quantità di inquinanti. Non è più quella che gli antichi Romani valorizzavano, immagazzinavano e sfruttavano.
Domande che cadono a pioggia, appunto, e che fanno solo rispondere “Si adatti chi può”.
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