Vivere mini, ma al massimo

CASA 1

Container dismessi, ex-vagoni, ex-autobus, case in legno da montare, case su ruote più o meno piccole. Queste, sono le soluzioni abitative che stanno prendendo piede in giro per il mondo.

Il tiny (minuscolo) life-style è molto diffuso soprattutto nei paesi di mentalità anglo-sassone: nord-America, Nuova Zelanda, paesi del nord Europa, ma molto più raro nei paesi mediterranei, come il nostro, se non del tutto assente.

Probabilmente, è soprattutto la mancanza di normative che contemplano questo tipo di residenza a fare da deterrente. Da noi, tutto ciò che serve come residenza abituale, roulotte compresa, deve rispettare una lunga serie di regole e divieti riguardanti gli allacciamenti, la rete fognaria, le tasse da pagare ecc. Evidentemente, il rischio più o meno diffuso di abusivismo edilizio ha portato a un’infinità di costi e cavilli burocratici.

Di conseguenza, si potrebbe prendere in considerazione una piccola abitazione recuperata da un container dismesso, ad esempio, solo in alcuni rari casi.

Il costo in sé sarebbe il fattore meno rilevante, considerando che lo si potrebbe acquistare sul mercato italiano a un prezzo tra 600/700 euro e circa 3.000 euro, a seconda della grandezza, dei viaggi che ha compiuto, dell’anno di costruzione e delle condizioni.

Servirebbe poi una certa capacità di sacrificio, dinamismo e manualità per poter effettuare, almeno in parte e da soli, le migliorie e i vari adattamenti per renderlo vivibile: realizzare le finestre, tagliare la lamiera e montare i telai, provvedere all’isolamento interno ed ed esterno, razionalizzare gli spazi, utilizzare fin dove è possibile materiale di recupero e andarselo a cercare.

Insomma, tutto questo comporta tempo, spirito di abnegazione, molta motivazione e un po’ di soldi.

Ma, oltre alla parte burocratica e di progettazione, la collocazione di un container per viverci pone naturalmente la domanda “Sì, ma dove?”

Non tutti hanno lo fortuna di disporre di un terreno edificabile residenziale di proprietà, perché alla luce dei fatti, questa è la premessa principale.

Ma se il comune concede i permessi, l’avventura ha inizio.

Pannelli solari sul tetto, stufa a legno e cucina economica (sempre che non ci sia il divieto di bruciare la legna, causa inquinamento…), tavoli e tavolini a scomparsa, contenitori che diventano divani e /o letti e viceversa, soppalchi ecc.

Se ci si può allacciare alla rete idrica, fognaria, elettrica e del gas, il container diventerà a tutti gli effetti più che vivibile.

Altrimenti, resta la scelta più ruspante off-grid (fuori rete): gas in bombole, serbatoi per l’acqua, il wc compostante (compost toilet), se è permesso…, illuminazione con lanterne e candele o torce a ricarica solare, una vecchia stufetta a legna per scaldarsi.

Questo, sarebbe in realtà lo spirito di chi, circa vent’anni fa, ha dato il via al movimento tiny house, quando l’eco-sostenibilità era molto meno d’attualità e più autentica.

Vero è che sull’onda di questo nuovo stile di vita che si ispira alla sobrietà del passato, possono risultare soluzioni abitative davvero sorprendenti e innovative, soprattutto se chi le attua ha la fortuna di vivere in contesti naturali straordinari.

Il cucito, questo sconosciuto – Seconda puntata: progetto cappotto

Cappotto tre quarti fai-da-te?

Mah! Sì, perché no?

Detto, fatto. Dopo aver acquistato il tessuto, in questo caso costituito da 2 mt di tessuto in lana 100% alto cm.150 (peso gr 450/metro lineare) e 1 mt e mezzo di fodera leggera trapuntata in poliestere alta cm. 155 (peso gr 280/metro lineare), il progetto di un cappotto corto ha iniziato a muovere i suoi primi passi.

La stoffa è stata acquistata on-line, su due siti italiani diversi, al costo di € 12,00/mt il tessuto in lana e di €.5,50/mt la fodera trapuntata.

Avendo già realizzato precedentemente un primo giaccone, è stata aggiunta una difficoltà in più; quella di scegliere un tessuto a righe. Da evitare, se ci si cimenta per la prima volta, in quanto occorre fare attenzione durante il lavoro a far combaciare anche le righe del motivo. Per un primo lavoro, meglio optare per una tinta unita, senza trama definita.

Se il tessuto presenta lievi differenze tra dritto e rovescio, per es. una lucentezza o una nitidezza anche solo leggermente diversa, è utile distinguere il lato che si vuole utilizzare, marcando con qualche punto ogni parte che viene tagliata. In questo modo, si evita di creare difformità nel risultato finale.

1° PASSO: Il modello

Riprodurre su carta velina tutte le parti tal quali del modello da copiare.

Davanti sinistro – simmetrico destro

Ritagliarle e incollarle su carta da pacco, scrivendo a quale parte del progetto corrispondono (manica parte dietro, manica parte davanti ecc.).

Dietro – parte centrale
Dietro – parte centrale e laterali

Per velocizzare il procedimento, tener conto del fatto che alcune parti sono simmetriche e per riprodurle sulla carta basta girarle nel senso inverso (per es. le due parti del davanti).

Manica destra – simmetrica sinistra

2° PASSO: la marcatura

Posizionare le varie parti in carta sulla stoffa e tracciare i bordi con il gesso.

Davanti

Quindi, cucire con punti lunghi sopra i bordi segnati con il gesso.

Dietro

E’ meglio utilizzare un filo a contrasto, diverso da quello della vera e propria imbastitura successiva. In questo caso, la marcatura è stata eseguita con il filo bianco.

Maniche

3° PASSO: il taglio

Tagliare le varie parti, calcolando 2 o 3 cm in più di stoffa. Per gli orli inferiori delle maniche, del davanti e del dietro del cappotto, lasciare diversi cm in più (max 10 cm)

4° PASSO: l’assemblaggio

L’assemblaggio può avvenire in due modi: dall’interno o dall’esterno del lavoro. In questo caso, sono state imbastite con filo arancione le varie parti dall’esterno, per far meglio combaciare il motivo a righe, seguendo i punti lunghi della tracciatura in bianco.

Indossando questo primo abbozzo di cappotto, potrebbero essere necessarie alcune modifiche, per es. le maniche potrebbero risultare troppo abbondanti ecc.

Nessun problema: non è questione di vita o di morte. Anche i migliori pittori della storia hanno modificato spesso i loro quadri famosi prima di consegnarli ai posteri! L’importante è non tagliare la stoffa prima del dovuto.

Con pazienza, si adatta l’imbastitura alle misure esatte, confrontando il progetto anche con il modello di riferimento, finché il tutto abbia raggiunto la sua armonia, il più esattamente possibile.

5° PASSO: la cucitura

Ebbene sì, c’è chi ancora preferisce cucire tutto a mano, e con il tessuto in lana questa tecnica può dare risultati eccellenti, utilizzando il punto invisibile.

Riminiscenze “antiche” delle lezioni di “Applicazioni Tecniche” alla scuola media, quando i maschi andavano a lezione in un’altra aula a usare traforo, martello e chiodi, mentre le femmine venivano istruite a lavorare di ago e filo…

Com’è, come non è, impara l’arte e mettila da parte. Così, dopo anni, per concretizzare la propria creatività, il punto invisibile e i suoi innumerevoli vantaggi, è rispuntato fuori.

In alternativa, la macchina da cucire è sicuramente la scelta più veloce.

C’è da dire, però, che in questo caso ideato da autodidatta si rischia di cucire delle parti che poi dovranno essere modificate, con relativa maggior perdita di tempo rispetto alla cucitura a mano.

6° PASSO: la rifinitura delle cuciture

Rifinitura interna delle cuciture

Dopo aver assemblato le varie parti e rimosso l’eccesso della stoffa all’interno, la rifinitura delle cuciture, può aggiungere quel tocco in più. Per es. alcune cuciture esterne del dietro del cappotto e delle maniche potrebbero essere riprese / ribattute all’esterno, creando una “costina” sottile che valorizza la cucitura e la linea del modello.

Al rovescio del lavoro, invece, chiudere i lembi del tessuto evita che si sfilaccino, contribuendo anche a una maggiore morbidezza della cucitura all’esterno.

SEI SETTIMANE DOPO…