Quest’anno ricorre il duecentodecimo anniversario della nascita di Antonio Meucci, al quale si deve l’invenzione del telefono. Toscano di origini, emigrò prima a Cuba e poi negli Stati uniti, dove nel 1854 ideò il primo telefono casalingo, per comunicare con la moglia ammalata, senza dover spostarsi per casa.
Da casa nasce cosa, si potrebbe arguire, perché in seguito le vicende si sono aggrovigliate parecchio. A partire dal brevetto che Meucci faticò non poco ad ottenere, in primis per ragioni economiche, che lo costrinsero ad aspettare fino al 1871. Ma come tutti i geni incompresi, una volta ottenuto il brevetto, non fu apprezzato per l’ingegnosa invenzione, e i diritti del brevetto decaderro, sempre per motivi economici del Meucci, che ne impedirono il rinnovo.
Ci pensò un americano, pare, un certo A.G. Bell che sbirciando tra le carte dello sfortunato Meucci, nel 1876 gli copiò l’idea e ne ottenne subito il brevetto, disponendo di ben più larghe finanze. Finita in tribunale la vicenda, si salvò poi la faccia nel dire che il suo era di tipo elettrico e non meccanico, come quello dell’italiano, così vinse la battaglia legale.
Ma un altro personaggio si era già affacciato sulla scena del giallo telefonico: il valdostano Innocenzo Manzetti che nel 1865, quindi dopo Meucci, sorprese tutti con un telefono bello che pronto e, però, anche questo sprovvisto di brevetto.
Quindi, alla fine della storia sulla nascita del telefono, l’ha comunque vinta l’americano, l’unico dei tre a procurarsi subito il brevetto, consapevole del fatto che senza quello, non esiste altro inventore né invenzione che tenga.
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