Gerione truffatore

Gustavo Doré

 

“Della verità che sembra menzogna, l’uomo deve sempre tenere la bocca chiusa finché può, per non cadere nella vergogna senza la colpa di essere bugiardo. Ma qui tacer non posso… io vidi, in quell’aria spessa e scura venir nuotando in su una figura da sbalordire l’animo più saldo…”   (Dante Alighieri  – Canto 16, Inferno)

 

Dante settecento anni dopo

C’erano una volta i guelfi e i ghibellini, i primi dalla parte del papato, gli altri dalla parte dell’imperatore.

Ma poi i guelfi si divisero in bianchi e neri, i primi vedevano sempre meno di buon occhio l’ingerenza del papato nella vita politica, però non erano proprio come i ghibellini, i neri invece tolleravano per interesse l’incondizionato controllo papale nella politica e nell’economia.

Questo era lo scenario nel quale Dante Alighieri nacque, visse, peregrinò e morì da esiliato.

Castello di Poppi, Casentino

E proprio l’esilio fu la molla che fece scattare la stesura della Comedia, poi ribattezzata Divina Commedia da Boccaccio.

Quel titolo, un po’ salvava  l’opera e il suo autore da quell’alone di eresia, più politica che religiosa a dire il vero, ma che non evitò il rogo delle sue precedenti opere, una volta che i guelfi neri si ripresero Firenze.

E al rogo ci sarebbe finito anche lui se fosse rientrato a Firenze, tornando da Roma dove Papa Bonifacio VIII apposta lo aveva trattenuto più del necessario.

All’inizio si erano inventati un’ammenda da pagare, oltre a varie confische e altri capi di accusa, per “redimere” l’avversario, che si guardò bene di onorare la prima, e di sottoporsi al processo per le seconde.

Forse, oltre ad essere un guelfo bianco, Dante stava sulle scatole a molti anche per la sua appartenenza ai Fedeli d’Amore, confraternita che si riuniva in segreto, in opposizione alla corruzione della Chiesa, utilizzando un linguaggio criptico comprensibile solo agli adepti, nel quale “piangere” significava “scappare” ad esempio.

All’inizio del suo esilio Dante cercò ospitalità non troppo lontano da casa, a Pistoia, in Lunigiana e nel Casentino.  

Con gli altri guelfi bianchi esiliati si unì anche ai ghibellini, nella speranza di poter tornare presto a casa, ma fu tutto vano.

A un certo punto, Dante decise di continuare a fare l’esiliato per conto suo, buttandosi a capofitto nella sua Comedia.

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, di ritorno da Venezia dove si era recato nel ruolo di ambasciatore,  morì a 56 anni  in preda a una febbre malarica.

Dopo settecento anni ancora lo si ricorda,  e si capisce il perché.

Basta leggere o rileggere la sua Comedia, tragicamente o beffardamente sempre attuale.

Anche dopo sette secoli, o giù di lì.

L’inferno in chiave moderna – canto terzo

Lasciate ogni speranza, Voi che entrate. (Illustrazione di G.Dorè)

Lasciate ogni speranza, voi che entrate. (Illustrazione di G.Dorè)

Parole minacciose erano scritte sopra l’entrata:  “Qui, si entra nell’inferno e nella città di Dite, posta all’estremo baratro,  al dolore eterno e tra la gente dannata. Mi ha creato Dio, mosso da giustizia, che impersona la massima potenza del Padre, la massima sapienza del Figliolo e la massima carità dello Spirito Santo. Davanti a me, sono state create solo cose eterne ed io vivo eternamente. Lasciate ogni speranza, voi che entrate”. Dissi a Virgilio “ Il senso di queste parole mi appare cupo”  e lui rispose “Qui, conviene abbandonare ogni timore ed esitazione. Siamo arrivati nel luogo dove ti dissi che avresti visto persone tormentate che hanno perso l’intelletto e la verità”. Poi, prese la mia mano e con volto rassicurante per confortarmi, mi condusse in quel mondo sconosciuto ed inaccessibile.

Inferno di sabbia

Inferno di sabbia

Le tenebre risuonavano di sospiri, pianti e urla di dolore, tanto che cominciai a piangere. Si udivano diverse lingue e pronunce orribili, parole di dolore e imprecazioni, voci alte e sommesse, rumori di mani che si battevano per disperazione e collera, in un clamore di cui le tenebre erano sempre pervase, come il turbinio del vento avvolge furiosamente la sabbia.  Ed io, stordito, chiesi a Virgilio “Maestro, cos’è quello che sento? E chi sono quelle persone tormentate e sopraffatte dal dolore?”  Lui rispose “ Così sono le anime malvagie di chi ha vissuto senza infamia e senza lode. Mischiate nella schiera dei vili, tra gli angeli  neutrali che non furono né ribelli né fedeli a Dio, ma solo a se stessi. I cieli li tengono lontano, perché altrimenti rovinerebbero la loro bellezza e nemmeno li vuole l’inferno, perché toglierebbero motivo di gloria ai ribelli”. Ed io continuai “Maestro, per quale pena si stanno lamentando così tanto?” e Virgilio rispose “ Te lo dirò molto brevemente.  Non possono sperare di morire e la loro vita oscura è così infima che sono invidiosi di qualsiasi altro destino. Il mondo non tollera la loro esistenza, né meritano la misericordia e la giustizia di Dio. Non pensiamo a loro, ma guarda e passa”.

Di nuovo mi  guardai intorno e vidi un’insegna  che girava veloce senza fermarsi, portandosi dietro una lunga fila di persone che non avrei creduto la morte potesse recarne così tante con sé. Cercando di riconoscere qualcuno, vidi colui che rifiutò per viltà (forse Celestino V, Esaù, Pilato, simboli degli indolenti). Subito capii e ne fui sicuro che quella era la schiera dei vili, ripudiati da Dio e dai suoi nemici. Questi esseri abbietti che non vissero mai veramente, erano nudi e tormentati da mosconi e da vespe. Avevano il volto rigato di lacrime e sangue che cadeva ai loro piedi dove vermi fastidiosi lo raccoglievano.  Guardando oltre, vidi gente sulla riva di un grande fiume e chiesi a Virgilio “Spiegami  chi sono e quale istinto porta quelle persone ad essere così ansiose di attraversarlo, come riesco a scorgere attraverso la debole luce”.  Lui rispose “Lo saprai quando ci fermeremo sulla desolata riva dell’Acheronte”.

Con lo sguardo abbassato per la vergogna di essere stato troppo curioso, smisi di parlare del fiume. Ma ecco che una barca veniva verso di noi, guidata da un vecchio che gridava “Guai a voi, anime malvagie. Non sperate più di rivedere il cielo. Vengo per portarvi sull’altra riva, nelle tenebre eterne e nel tormento dell’inferno. E tu, che sei ancora vivo, vattene via da loro che sono morti”.  Quando vide che non me ne andavo , disse “ Arriverai alla spiaggia per attraversare con una barca più comoda, da un’altra via e non da qui”.  Virgilio gli rispose “ Caronte, non ti crucciare, così si vuole là dove si può ciò che si vuole, e altro non domandare”. Quindi, si distesero appena le gote barbute del nocchiere i cui occhi fiammeggiavano per la collera nella nera palude.

Caron dimonio, con occhi di bragia

Caron dimonio

Ma le anime disperate e nude cambiarono colore e dibattevano i denti non appena intesero quelle parole crudeli, maledicendo Dio,i loro genitori, la specie umana, l’essere nati e i loro discendenti. Poi, tutte insieme si ritrassero piangendo forte sulla riva desolata che attende tutti quelli che non hanno temuto Dio. Il demone Caronte, con occhi di fuoco, le richiama e le raccoglie tutte, colpendo con il remo chi indugia. Come in autunno cadono le foglie, una dopo l’altra, finchè il ramo vede a terra tutte le sue spoglie, così i malvagi si affrettano sulla nave ad uno ad uno, come gli uccelli che seguono un richiamo. Se ne vanno, tra le nere onde, e mentre si allontanano, un’altra schiera si raduna. “ Figliolo mio” disse il gentile maestro “ quelli che muoiono privati della Grazia divina arrivano qui da ogni paese, pronti ad attraversare il fiume, perché li sprona la giustizia divina, così che la paura si trasforma in volontà.  Di qui non passa mai un’anima buona, ma se Caronte si lagna di te, puoi ben capire cosa significano le sue parole”. Quando tutto ciò fu finito, la campagna buia tremò così forte che solo a ricordarlo la mia mente rabbrividisce dalla paura. La terra intrisa di lacrime sprigionò un vento  che fece balenare una luce rossa. Persi i sensi e caddi come chi si addormenta.

L’Inferno in chiave moderna – Canto secondo

Beatrice salva Dante

Beatrice salva Dante

Il giorno stava per finire e l’imbrunire risollevava dalla fatica gli animali e gli esseri  umani Io, unico fra tutti gli esseri viventi, mi apprestavo ad affrontare la dura prova sul difficile e doloroso cammino che per sempre resterà impresso nella memoria. Chiedendo aiuto alla dialettica e all’ingegno che ha reso famose le mie rime, la mente mi apparirà nella sua perfezione, facendomi scrivere ciò che ho visto.

Così iniziai, “Poeta che mi guidi considera se io davvero ne possiedo la virtù, prima di condurmi dalla vita mortale all’eternità. Tu dici che Enea, ancora vivo, è entrato nel mondo eterno. Però, se Dio fu magnanime con lui pensando alle sue qualità, ciò non sembra indegno per un uomo di intelletto che fu eletto dal padre nel cielo luminoso e destinato a Roma, dove siede il Papa e all’impero, la cui grandezza, a dire il vero, fu costituita da Dio. In questo viaggio che tu celebri, Enea ha appreso cose che lo hanno condotto alla vittoria personale e a quella dell’autorità papale. Poi fu San Paolo, scelto per accogliere e predicare  la fede che porta alla salvezza, ad entrare nel mondo eterno. Ma io, perché devo recarmi e chi me lo concede? Non sono né Enea né Paolo e non credo che io o altri possiamo esserne degni. Se accetto di rischiare, temo che quest’avventura  sia una follia. Tu che sei saggio, capisci quel che dico, perché io non ragiono più.”

Come chi rifiuta ciò che prima voleva e, pensando diversamente, cambia le sue intenzioni e rinuncia al proposito iniziale, lo stesso feci io in quel paesaggio oscuro e deserto, perché con il pensiero già avevo immaginato ed asaurito l’intera impresa, iniziata con audacia.

Dante e Virgilio

Dante e Virgilio

“Si, capisco il tuo discorso” rispose l’ombra del nobile Virgilio “sei sopraffatto dalla sfiducia che ostacola l’uomo in molte occasioni e lo distoglie da una nobile impresa, vedendo falsamente ciò che non esiste. Ho provato pietà per la tua misera condizione e sono qui affinchè tu ti liberi di questa paura.  Ero tra le anime del Limbo, sospese tra il desiderio di avvicinarsi a  Dio e lo sconforto di non riuscire a vederlo, quando mi ha chiamato Beatrice, donna così bella e beata, a cui non ho potuto fare a meno di ubbidire. I suoi occhi luccicavano più delle stelle e iniziò a parlarmi in modo dolce e pacato.

“Anima gentile che giungi da Mantova, ancora famoso tra gli uomini, e tale sarai fino alla fine del mondo, il mio sincero amico si trova in difficoltà sul cammino deserto che, impaurito, ha abbandonato. Temo che si sia già smarrito e che io non mi sia mossa in tempo per soccorrerlo, dopo aver sentito parlare di lui in cielo. Vai ad aiutarlo con le tue parole ed ogni mezzo necessario perché io possa consolarmi. E’ Beatrice che ti chiede di andare. Vengo dal cielo, il luogo dove desidero tornare ed è l’amore che mi fa parlare. Quando ritornerò davanti a Dio, ti loderò spesso al suo cospetto.”  Beatrice finì di parlare ed io cominciai.

”Donna virtuosa, che hai riscattato la specie umana dal suo destino mortale, sono così lieto di ubbidirti che non occorre che tu aggiunga altro per convincermi. Ma dimmi il motivo che, dal cielo dove desideri tornare, ti spinge a scendere all’inferno.” Beatrice rispose, “Ti spiegherò brevemente perché non ho paura di entrare qua dentro. Si deve temere solo ciò che può recarci danno e non aver paura di ogni altra cosa.  Io sono nella grazia di Dio e il vostro destino infelice non mi tocca, né mi ferisce il fuoco dell’inferno. Dell’incarico che ti affido si addolora la Vergine in cielo e, di conseguenza, viene infranta la severa sentenza divina. Lei ha chiesto di Lucia e le ha detto che il suo fedele ha bisogno del suo aiuto e glielo ha raccomandato. Lucia, nemica di ogni crudeltà, è venuta da me che sedevo accanto a Rachele, moglie di Giacobbe.

Dante incontra Beatrice a Firenze

Dante incontra Beatrice a Firenze

Mi ha detto “Beatrice, nella gloria di Dio, perché non aiuti chi ti ha amato così tanto e per te si è distinto dalla gente volgare? Non senti l’angoscia nel suo pianto?  Non vedi che combatte la dannazione e le acque infide del peccato per far sì che non vincano?”  Al mondo non ci sono state mai persone così pronte ad agire, quanto io stessa, dopo aver sentito le sue parole. Così sono scesa quaggiù dal mio beato luogo, fiduciosa del tuo parlare onesto che onora te e chi ti ha compreso.”

Dopo avermi detto tutto questo, gli occhi lucenti le si inondarono di lacrime e io mi apprestai subito a raggiungerti, come mi aveva chiesto. Così, mi hai visto quando la lupa ti distolse dal cammino sul monte. Dunque, cosa c’è?  Perché indugi? Perché accetti di essere cosi debole e quasi te ne compiaci? Perché non hai forza e coraggio? Tanto più che tre donne benedette in cielo si curano di te e le mie parole ti fanno ben sperare.” Come i fiori si drizzano sullo stelo quando il sole li risolleva dal gelo notturno, così svanirono i dubbi e la prostrazione, dandomi il coraggio di parlare francamente. “Benedetta lei che mi ha aiutato e tu, leale, hai ubbidito subito alle sue parole veritiere.  Con le tue parole mi hai convinto a seguirti e a tornare al mio proposito iniziale. Ora, vai, perché l’intento è comune. Tu sei la guida, il signore ed il maestro.” Detto questo, ripresi il cammino difficile e selvaggio.

L’Inferno in chiave moderna – Canto primo

Selva oscura

Selva oscura

A 35 anni mi ero perso in una foresta buia, perché avevo smarrito la strada. Mi è difficile descrivere quella foresta selvaggia, impervia ed intricata, che solo a pensarci provo paura. E’ così opprimente che quasi mi angoscia più della morte.  Ma prima di raccontare del bene che vi ho trovato, parlerò di altre cose che ho visto. Non so nemmeno dire io, come vi sono entrato, tanto ero smarrito da perdere la strada. Arrivato ai piedi di un colle, dove finiva la foresta che mi aveva riempito il cuore di tanta paura, ho guardato in alto e visto i pendii inondati già dalla luce del sole che guida gli uomini sulla giusta strada. Allora, la paura che avevo provato dal fondo del cuore in quella notte angosciosa diminuì. Così come chi, con il respiro affannato, uscito dal mare e  raggiunto la riva, si gira e fissa l’acqua minacciosa, mi sono voltato mentre ancora fuggivo per guardare da dove ero venuto e mai nessuno ne era uscito vivo.

Lonca, incrocio tra leopardo e leonessa: simbolo della lussuria

Lonza, incrocio tra leopardo e leonessa: simbolo della lussuria

Dopo essermi riposato un po’ ripresi a camminare per il pendio solitario, e passo dopo passo, ecco che all’inizio della ripida salita mi trovai davanti una lonza agile e veloce, dal pelo chiazzato che mi impediva di avanzare, così da essere tentato più volte di tornare indietro. Era mattino presto di primavera e mi misi a sperare per il meglio di fronte a quella fiera dal manto screziato, ma quando apparve anche un leone, non potei fare a meno di provare paura.

Leone, simbolo della superbia

Leone, simbolo della superbia

Sembrava venirmi contro, con la testa alta e una fame rabbiosa, tanto che l’aria stessa pareva tremare, e poi una lupa, nella cui magrezza era impressa tutta la bramosia per la quale già molte persone avevano sofferto. Ne fui talmente impaurito che persi la speranza di raggiungere la cima del colle.

Lupo, simbolo di cupidigia e avidità

Lupo, simbolo di cupidigia e avidità

Così come succede a chi guadagna volentieri per poi perdere tutto e piangere rattristato, la bestia insaziabile mi veniva incontro, spingendomi sempre di più nella foresta buia.

Mentre ritornavo a valle, vidi un individuo che sembrava aver perso la forza di parlare, da tanto era stato in silenzio. Quando lo vidi così solo, gli gridai ” Abbi pietà di me, ombra o uomo che tu sia”  e lui mi rispose ” Non sono più uomo, ma lo ero. I miei genitori erano entrambi di Mantova, nel nord d’Italia. Sono nato ai tempi di Giulio Cesare, ma troppo tardi per conoscerlo. Ho vissuto a Roma sotto il grande Augusto e durante il paganesimo. Sono stato poeta e ho cantato di Enea, figlio di Anchise che veniva da Troia, bruciata nell’incendio. Ma tu, perché torni verso tanta angoscia? Perché non sali sull’amato colle che è l’inizio e il motivo di ogni gioia?”

Veltro, veloce cane da caccia

Veltro, veloce cane da caccia

“Allora sei tu quel Virgilio che parla con grande eloquenza” risposi colmo di rispetto “onori e illumini gli altri poeti, mi rallegri per il lungo studio e il grande amore che mi hanno fatto leggere e rileggere le tue opere. Tu sei il mio maestro ed autore, sei il solo da cui ho tratto lo stile tragico che mi ha reso famoso. Guarda la bestia che mi ha fatto tornare indietro. Aiutami, grande saggio, perché mi fa tremare il sangue nelle vene”.

“Ti conviene prendere un’altra strada” rispose poi, vedendomi piangere “se vuoi salvarti da questa foresta selvaggia, perché la bestia per la quale tu invochi aiuto, non lascia passare nessuno sul suo cammino e per impedirlo, uccide. La sua natura è così malvagia che non soddisfa mai la bramosia e dopo il pasto ha più fame di prima. Sono molti gli animali che le assomigliano e ce ne saranno molti altri ancora così, finché arriverà un veltro e la farà morire nel dolore. Non sarà avido, ma saggio, virtuoso e di umili origini.

Dante e Beatrice

Dante e Beatrice

Risanerà la decaduta Italia, per la quale morì Cammilla (figlia del re dei Volsci, in guerra contro i Troiani), Eurialo, Niso (compagni di Enea) e Turno (ucciso da Enea), Il veltro scaccerà la misera Italia da ogni luogo, finché l’avrà riportata nell’inferno, da dove è provenuta l’invidia che ha corrotto gli uomini. Penso che tu mi debba seguire, così sarò la tua guida verso l’inferno, dove sentirai le grida disperate e vedrai gli antichi spiriti con l’anima annullata che soffrono e urlano.  Vedrai le anime del Purgatorio che sperano nella salvezza e di unirsi a quelle del Paradiso, dove se vorrai salire, troverai Beatrice, anima più degna di me.  Ti lascerò con lei, prima di andarmene, perché Dio non mi vuole in Paradiso, siccome non ho seguito le sue leggi e sono vissuto prima del cristianesimo. Regna su tutto il creato  e là ha il suo trono. Beati quelli che vi appartengono”.

Dissi a Virgilio “Poeta, per quel Dio che non hai conosciuto, ti prego di portarmi là dove hai detto, così che io possa fuggire dal peccato e dalla dannazione, vedere la porta del Paradiso e i dannati”. Allora Virgilio si rimise in cammino e io lo seguii. Continua…