Metrodora e l’aromaterapia

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“Prendi solo quello che ti serve” non è solo una massima di vita, ma anche il consiglio di Metrodora per dosare in giusta quantità gli ingredienti di un impacco rigenerante da lei creato.

Metrodora, chi era?

Se la sua collocazione storica è incerta, pare fosse nata fra il 200 e il 400 d.C., quella geografica è sicura; l’Egitto, da tempo inglobato nelle province dell’impero romano.

All’incirca di quel periodo sono pervenuti ritratti molto realistici di personaggi ben curati, i cui lineamenti possiamo trovare ancora oggi nei paesi mediterranei (incluso il nostro), a prova del fatto che la cura della persona è sempre stata una pratica diffusa.

Ritratti del Fayum, Egitto (100. a.C- 300 d.C.)

Tra una scorreria e l’altra, la fame, le malattie e la miseria, vi erano momenti di relativa pace e prosperità che inducevano a occuparsi anche dell’aspetto e del benessere fisico, oltre alla necessità principale di sopravvivere.

Considerando gli ingredienti dei preparati di Metrodora, sembra che molti fossero di facile reperibilità; euphorbia, pepe, alloro, semi di lino, latte, aceto, farina di frumento, fieno greco, argilla, saponaria, ciclamino, per citarne alcuni. Ne consegue che numerosi dei suoi preparati non fossero solo appannaggio dei benestanti. Bastava fare un giro nell’orto, tra le piante che crescevano spontanee nei dintorni e sacrificare piccole scorte di alimenti nella dispensa di casa.

Ma Metrodora non era solo un’esperta in cosmetica. Era soprattutto una medichessa, donna medico, medica o come dir si voglia. La prima, nella storia, a scrivere un trattato medico, meticolosamente redatto in ordine alfabetico e dal titolo ” Delle Malattie delle Donne”.

Particolarmente ferrata in tematiche femminili, si occupava anche di disturbi di altro genere, tra cui quelli febbrili e malaria, gastrici, reumatici e da trauma, attingendo dagli insegnamenti di Galeno e Andromaco.

Ma nelle sue ricette non potevano mancare anche quelle che contemplavano la profumazione degli ambienti. L’utilizzo della fumigazione e degli incensi, infatti, non era solo una pratica sacrale per propiziarsi la benevolenza divina, ma serviva anche per purificare l’ambiente e il vestiario.

E con gli agenti patogeni gli antichi dovevano conviverci abitualmente, pur non sapendone quasi nulla, ma almeno non disponevano né di mezzi né di capacità per maneggiarli, spezzettarli, ricomporli e disperderli volontariamente o per negligenza.

Così, Metrodora consigliava la fumigazione di resina di benzoino (Styrax officinalis) dalle proprietà antibatteriche, di aquilaria (l’attuale agarwood) dal profumo intenso, antinfiammatorio, antiasmatico e rilassante, di sandalo, antisettico e decongestionante, di incenso, dalle proprietà antibatteriche.

Inoltre, suggeriva di bruciare chiodi di garofano, dalle proprietà antisettiche ed antibatteriche, radice di iris, dalle proprietà antinfiammatorie (tuttora utilizzata in età infantile da masticare all’inizio della dentizione per alleviare il dolore), lavanda, dall’effetto antibatterico, legno di rosa, dalle virtù antinfettive e legno di gelsomino, dalle proprietà antispasmodiche e analgesiche.

Si cercava, insomma, di sopperire alla mancata conoscenza di allora con quanto la natura metteva a disposizione, sempre nella giusta misura e in base all’esperienza acquisita.

Vivere mini, ma al massimo

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Container dismessi, ex-vagoni, ex-autobus, case in legno da montare, case su ruote più o meno piccole. Queste, sono le soluzioni abitative che stanno prendendo piede in giro per il mondo.

Il tiny (minuscolo) life-style è molto diffuso soprattutto nei paesi di mentalità anglo-sassone: nord-America, Nuova Zelanda, paesi del nord Europa, ma molto più raro nei paesi mediterranei, come il nostro, se non del tutto assente.

Probabilmente, è soprattutto la mancanza di normative che contemplano questo tipo di residenza a fare da deterrente. Da noi, tutto ciò che serve come residenza abituale, roulotte compresa, deve rispettare una lunga serie di regole e divieti riguardanti gli allacciamenti, la rete fognaria, le tasse da pagare ecc. Evidentemente, il rischio più o meno diffuso di abusivismo edilizio ha portato a un’infinità di costi e cavilli burocratici.

Di conseguenza, si potrebbe prendere in considerazione una piccola abitazione recuperata da un container dismesso, ad esempio, solo in alcuni rari casi.

Il costo in sé sarebbe il fattore meno rilevante, considerando che lo si potrebbe acquistare sul mercato italiano a un prezzo tra 600/700 euro e circa 3.000 euro, a seconda della grandezza, dei viaggi che ha compiuto, dell’anno di costruzione e delle condizioni.

Servirebbe poi una certa capacità di sacrificio, dinamismo e manualità per poter effettuare, almeno in parte e da soli, le migliorie e i vari adattamenti per renderlo vivibile: realizzare le finestre, tagliare la lamiera e montare i telai, provvedere all’isolamento interno ed ed esterno, razionalizzare gli spazi, utilizzare fin dove è possibile materiale di recupero e andarselo a cercare.

Insomma, tutto questo comporta tempo, spirito di abnegazione, molta motivazione e un po’ di soldi.

Ma, oltre alla parte burocratica e di progettazione, la collocazione di un container per viverci pone naturalmente la domanda “Sì, ma dove?”

Non tutti hanno lo fortuna di disporre di un terreno edificabile residenziale di proprietà, perché alla luce dei fatti, questa è la premessa principale.

Ma se il comune concede i permessi, l’avventura ha inizio.

Pannelli solari sul tetto, stufa a legno e cucina economica (sempre che non ci sia il divieto di bruciare la legna, causa inquinamento…), tavoli e tavolini a scomparsa, contenitori che diventano divani e /o letti e viceversa, soppalchi ecc.

Se ci si può allacciare alla rete idrica, fognaria, elettrica e del gas, il container diventerà a tutti gli effetti più che vivibile.

Altrimenti, resta la scelta più ruspante off-grid (fuori rete): gas in bombole, serbatoi per l’acqua, il wc compostante (compost toilet), se è permesso…, illuminazione con lanterne e candele o torce a ricarica solare, una vecchia stufetta a legna per scaldarsi.

Questo, sarebbe in realtà lo spirito di chi, circa vent’anni fa, ha dato il via al movimento tiny house, quando l’eco-sostenibilità era molto meno d’attualità e più autentica.

Vero è che sull’onda di questo nuovo stile di vita che si ispira alla sobrietà del passato, possono risultare soluzioni abitative davvero sorprendenti e innovative, soprattutto se chi le attua ha la fortuna di vivere in contesti naturali straordinari.

Ex Riseria Gariboldi e dintorni – Milano

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Ex riseria Gariboldi, Milano

Inizia nel 1889 la storia della riseria Gariboldi, oggi stabilimento dismesso e video sorvegliato, a due passi dal Naviglio Pavese.

In quell’anno, l’omonima famiglia si insediò nella zona e diede il via ad un’ estesa coltivazione del riso, diventando nella seconda metà degli anni ’30 una delle maggiori aziende produttrici di riso parboiled. Questo tipo di riso, largamente utilizzato, ha la proprietà di tenere molto bene la cottura grazie allo speciale trattamento a vapore dei chicchi.

La fervida attività della Gariboldi fu interrotta nei primi anni del 2000. L’azienda fu poi ceduta ad un grande gruppo industriale del settore.

La produzione fu così trasferita in Lomellina per disporre più facilmente della materia prima, ma anche per buona pace del vicinato a causa della rumorosità del grande impianto.

Infatti,  se un tempo lo stabilimento era delimitato in gran parte solo da campi e risaie, nel corso degli anni l’urbanizzazione lo ha pressoché circondato.

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Abitato presso ex riseria Gariboldi – Milano

Ancora in città, ma già in sentore di campagna e sulla strada che porta a Pavia, restano accanto ai grandi silos e all’intreccio delle tubature con le lamiere, alcune case decorosamente sopravvissute.

Come un antico borgo, sembrano fargli compagnia.

Perfino il cielo insolitamente azzurro limpido, complice il vento,  e le fioriture primaverili sembrano confortarlo nel suo silenzio spettrale in attesa di un incerto destino che lo porterà verso lo smantellamento definitivo o al recupero intelligente.

Torta melarancia al cacao

Torta melarancia al cacao

Flavanoli e xantine fanno del cacao, amaro s’intende, un potente antiossidante a beneficio soprattutto dell’apparato cardiovascolare, dell’attività cerebrale e dell’umore. Quindi, il suo consumo non esagerato ne fa un ottimo sostituto del cioccolato commerciale. Preparato preferibilmente a freddo, con poco olio di semi, pochissima acqua e xilitolo naturale, valorizzato da spezie, frutti di bosco, polpa di frutta ecc. diventa una crema personalizzabile secondo i propri gusti.

Ma l’abbinamento cacao e arancia resta uno dei più classici, come in questa ricetta.

Ingredienti

200 gr di farine miste (qui, farina di farro e farina integrale di grano tenero)

1 arancia bio (maturata al sole di Sicilia…)

cacao amaro di qualità (possibilmente bio…) – 2 cucchiai

1 bustina di cremor tartaro + 1 cucchiaino scarso di bicarbonato

xilitolo naturale (preferibilmente di betulla…) – qui 30 gr.

olio di semi di girasole – 4 / 5 cucchiai

1 o 2 mele ( a seconda della grandezza…)

Preparazione

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Lavare l’arancia e togliere la scorza con un pelapatate. Quindi, sminuzzarla finemente con la mezzaluna. Prenderne una parte abbondante e riporre in frigo la restante.

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Ridurre a pezzettini l’arancia, privata della pellicina bianca, e la/e mela/e.

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Unire le farine, la scorza d’arancia tritata, il cremor tartaro e il bicarbonato. Mischiare bene e aggiungere l’olio di semi e la frutta.

Incorporare acqua sufficiente per ottenere una consistenza morbida e cremosa. Lavorare bene l’impasto (possibilmente con un cucchiaio di legno…)

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Rivestire una teglia ø 25 cm con carta da forno bagnata e ben strizzata (per renderla maggiormente malleabile…) e poi leggermente unta con olio di semi.

Versare l’impasto, livellando la superficie.

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Mentre la torta cuoce in forno, preparare la crema, unendo in una ciotola il cacao amaro, la scorza d’arancia tritata, un cucchiaio di olio di semi, un cucchiaio scarso di xilitolo naturale e pochissima acqua. Mischiare accuratamente gli ingredienti e porre in frigo.

A cottura ultimata, cospargere la superficie con la crema al cacao, oppure, se la torta risulta piuttosto alta, tagliarla lungo la metà e farcirla.

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Torta melarancia con crema di cacao e scorza di arancia

Plumcake al cacao e nocciole per colazione

Plumcake al cacao e nocciole

Un plumcake a base di cacao per una marcia in più, da preparare preferibilmente la sera prima per il giorno seguente. Ingrediente base è un ottimo cacao dal sapore e dell’aroma robusto, possibilmente bio. Il suo profumo durante la cottura aleggerà in cucina e per casa. Anticiperà un’invitante colazione per iniziare un nuovo giorno con il piede giusto.

Ingredienti

200 gr farine miste (qui, 100 gr di farina di farro bio + 100 gr di farina integrale di grano tenero)

30 gr cacao amaro bio

100 gr nocciole pelate

20 gr olio di semi di girasole

xilitolo naturale di betulla (qui 30 gr)

1 bustina di cremor tartaro + 1 cucchiaino scarso di bicarbonato

Preparazione

Unire alle farine il cacao, lo xilitolo, il cremor tartaro e il bicarbonato, mescolando bene. Ultimare con le nocciole e l’olio di semi. Ottenere un composto denso e cremoso, aggiungendo poca acqua alla volta. Mescolare a lungo per incorporare aria, rendendo ancora più morbido il risultato finale.

Versare l’impasto in uno stampo per plumcake foderato con carta da forno bagnata e ben strizzata, poi unta con poco olio di semi.

Cuocere in base al proprio forno. Se a gas, per minimo un’ora a temperatura massima.

Far raffreddare e servire preferibilmente dopo alcune ore, permettendo ai vari sapori di amalgamarsi al meglio, considerando la modesta quantità zuccherina.