Sotto Ludovico il Moro vengono chiamati a Milano Bramante e Leonardo da Vinci. Sul finire del ‘400 Leonardo affresca diverse sale della residenza ducale tra le mura del Castello Sforzesco. La Sala delle Asse viene affrescata con elementi decorativi che hanno come tema frutta, vegetali, radici e rocce.
Inoltre, nel 1455 venne aggiunto al lato destro della corte ducale un piccolo passaggio scoperto, chiamato Ponticello, che collegava il palazzo ducale alla strada coperta della Ghirlanda. Ludovico il Moro lo fece poi trasformare in appartamento privato, il cui soffitto fu originariamente decorato da Leonardo. Per giorni Ludovico si isolerà disperato nel piccolo appartamento a piangere l’improvvisa scomparsa della giovane moglie Beatrice d’Este morta di parto prematuro, pare, dopo aver partecipato fino a tarda notte a una delle tante sfarzose feste di corte con musiche e danze che si tenevano al castello.
La grande devozione alla moglie, non impedì tuttavia a Ludovico di dedicarsi alla bella Cecilia Gallerani, meglio nota come la Dama con l’Ermellino, ritratta da Leonardo in un celebre dipinto. A lei, Ludovico regalò Palazzo Carmagnola, oggi in Via Dante a pochi passi dal Castello Sforzesco. La favorita di Ludovico, donna intellettualmente vivace, fece diventare la residenza una sorta di salotto intellettuale.
Alla ventata di fermento artistico di questo periodo contribuirono altri artisti che affrescarono con le raffigurazioni delle imprese di Francesco Sforza la famosa Sala della Balla, così chiamata perché utilizzata per il gioco della palla. Nel 1490, in occasione del matrimonio di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d’Aragona arrivata a Milano attraverso i Navigli sul Bucintoro, la nave decorata in oro utilizzata dai Dogi di Venezia, e seguita da un corteo di lussuose imbarcazioni, fu organizzata al Castello Sforzesco una festa talmente sontuosa da essere ricordata come la più celebre del secolo.
La coreografia della festa tenutasi nella Sala Verde del Castello fu opera di Leonardo e raggiunse il suo apice con la rappresentazione del Paradiso, costituita da un grande mezzo uovo ricoperto d’oro all’interno, luccicante di lumi che rappresentavano le stelle e i pianeti.
Con Leonardo la città conosce una delle pagine più importanti della sua storia: quella di una città che tentò di sopperire alla mancanza di uno sbocco fluviale, diventando a suo modo una città d’acqua. Alla storia dei Navigli, i canali artificiali che attraversavano la città, le origini dei quali risalgono al 1179 e oggi sono visibili solo in parte, l’apporto di Leonardo fu essenziale, permettendo lo sviluppo di una rete navigabile dotata di chiuse e conche. Infatti, fu a partire dalla fine del ‘400, dapprima con Francesco Sforza e poi con Leonardo giunto a Milano nel 1482, che si costruirono in 35 anni 90 km di percorsi navigabili che avrebbero poi collegato la città al Lago di Como, attraverso il fiume Adda e il Naviglio della Martesana.
Più tardi, nel 1805 con Napoleone, si sarebbe ultimato il Naviglio Pavese che permetteva di raggiungere il mare da Milano verso Pavia ed immettersi nel fiume Po. Attraverso le acque del fiume Ticino e del Naviglio Grande, Milano era collegata al Lago Maggiore. Inoltre, altri tratti navigabili che oggi si vorrebbero recuperare, giacciono nascosti, interrati e coperti dall’asfalto nel centro della città, ad esempio quelli corrispondenti alla circonvallazione interna. Un pezzo di quei navigli nascosti, lo si trova oggi al Parco Sempione, la grande area verde adiacente al Castello Sforzesco. Un ponte in ferro che prima attraversava il Naviglio in Via Visconti di Modrone, in pieno centro città, fu portato lì e chiamato il Ponte delle Sirenette o delle Sorelle Ghisini. Quattro statue di sirenette in ghisa lo adornano, spuntando come creature surreali tra gli alberi.
Oggi, Leonardo può essere avvicinato in una sezione del Museo della Scienza e della Tecnica, dotata di area didattica appositamente dedicata al grande genio.
Ma i Navigli a Milano portano con sé altri frammenti di vita un po’ più recenti che sopravvivono in parte nel piccolo angolo caratteristico di Vicolo dei Lavandai, simbolo di una consuetudine durata ben 150 anni.
Dalla fine del 1800 al 1950, infatti, lungo i Navigli si raccoglievano le lavandaie a lavare il bucato delle famiglie benestanti, in cambio di piccoli guadagni. Inizialmente erano gli uomini a svolgere l’umile attività di lavare i panni dei ceti più abbienti. Successivamente, il lavaggio del bucato lungo i Navigli divenne prerogativa del lavoro femminile.
Per questo, ed altro ancora, i Navigli hanno costituito un aspetto preponderante e variegato nella storia di Milano. Da importanti vie d’accesso alla città alle gite romantiche fuori porta in barca di fine ‘800 fino all’atmosfera popolare di chi nella prima metà del’900, non potendosi permettere un soggiorno al mare, si tuffava e nuotava nei Navigli. Da mezzo alternativo per il trasporto delle persone e delle merci, poi soppiantato dal trasporto su ferrovia e strada, fino all’attuale presenza dei numerosi locali che fanno dei Navigli una zona di intrattenimento soprattutto serale.
Quindi, anche a Milano intesa come città d’acqua, non poteva mancare un suo porto, rappresentato dalla Darsena che occupa una parte dell’originario bacino realizzato sul preesistente laghetto di S. Eustorgio. Costruita nel 1603 durante l’occupazione spagnola, la Darsena ha costituito in passato un centro nevralgico in cui transitavano imbarcazioni e merci. Nel 1800 si contavano oltre 8.000 imbarcazioni all’anno che trasportavano a Milano oltre 350.000 tonnellate di merci, rappresentando il porto fluviale più importante d’Italia. Il Dazio, i cui edifici restano a testimoniare il vivace passato, si trovano oggi nel bel mezzo di Piazza 24 Maggio.
Una piazza in cui trionfa l’arco della Pace, detto anche di Porta Ticinese, voluto da Napoleone nel 1800 per celebrare l’entrata delle truppe francesi a Milano a seguito della vittoria di Marengo sugli Austriaci. Una piazza, immersa oggi nel traffico e attraversata dalle rotaie dei tram, ma un tempo circondata dalla campagna ricolma di fontanili.
Un territorio, quello cittadino, privo di veri fiumi se non fosse per l’antico Nirone, lungo alcuni km e dalla portata impetuosa, che arrivava in città fino al Castello Sforzesco, poi completamente interrato. Intorno, le campagne sarebbero successivamente apparse come una rete di campi fertili e canali, dove si sperimentò la coltivazione a “marcita”. Con questa tecnica si impediva all’acqua nei campi di gelare facendo scorrere costantemente l”acqua sulla superficie, gettando le basi per la realizzazione delle risaie e della vocazione agricola di Milano e dei suoi borghi.
Immaginare che tanta acqua arrivi dalle origini geologiche del sottosuolo rievoca la presenza del mare che si trovava sotto la città, le cui tracce nelle forme di fossili e conchiglie scoperte a 255 mt di profondità, sono esposte al Museo di Storia naturale. Un sottosuolo tuttora ricco di acque e una falda acquifera che tende sempre di più a salire, su cui Milano riesce in qualche modo a galleggiare. Continua…
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