Matilde, l’indomita rossa

Matilde di Canossa

Non tutti i nobili del Medioevo si dedicavano di buon grado alla guerra.

Alcuni di loro, forse molti di più di quanto si possa pensare, avrebbero preferito e anelato il ritiro nella pace dei chiostri tra le mura dei monasteri.

Matilde di Canossa, nonostante fosse battagliera, coltivava un simile anelito. Appartenendo a un elevato lignaggio, la posizione di badessa avrebbe probabilmente fatto al caso suo. In fin dei conti non le sarebbe andata poi così male, per una donna dinamica come lei. Avrebbe potuto continuare ad amministrare i suoi feudi, occuparsi di questioni giuridiche ed economiche, dedicandosi a faccende pratiche – ammesso che ne avesse avuto voglia – e non solo alla spiritualità. 

Infatti, superati i 40 anni, dopo due matrimoni falliti e senza eredi, quell’anelito si stava quasi trasformando in una possibilità concreta. Se non fosse stato per papa Gregorio VII, grande amico e sostenitore che la dissuase e la convinse a restare sulla scena politica, la sua vita avrebbe cambiato decisamente corso.

Evidentemente, il senso del dovere ebbe la meglio. Lo stesso per cui sposò dapprima un uomo, Goffredo il Gobbo, di cui non era innamorata e più tardi un sedicenne, Guelfo di Baviera, di 27 anni più giovane di lei, che a quanto dicono le cronache del tempo non apprezzò la sua femminilità matura.

Entrambi, ovviamente, sposati per “ragion di Stato”. vale a dire per conservare e ampliare i propri domini.

Dal primo se ne andò, facendo armi e bagagli, e non cambiò opinione quando lui  la raggiunse per convincerla a ritornare.  Del secondo, non si fece scrupolo di cacciarlo in  malo modo, sentendosi rifiutata. 

Ciò nonostante, tutta la vita di Matilde sembra seguire il file rouge di un obbligo morale in cui religiosità e ideale politico si mischiavano, agli albori dei grandi cambiamenti della società che da feudale si avviava a organizzarsi in Comuni autonomi, con tutto ciò che ne conseguiva.

Ogni cambiamento, si sa, porta con sé grande fermento, accesi contrasti, strenua difesa del vecchio modello in contrapposizione a quello che va manifestandosi.

Così, Matilde fu fervente e convinta sostenitrice del mondo a cui aveva sempre appartenuto; quello feudale a favore del potere papale rispetto a quello imperiale.

Ma muoversi sulla scena politica e privata senza la presenza di un marito era una condizione molto scomoda e impegnativa che poteva suscitare sospetto, stizza, perfino invidia e malignità.  Tanto che Matilde si prese l’epiteto di femmina pettegola e ficcanaso per interessarsi di cose che non le competevano. Nello specifico, di politica. Altre dicerie insinuarono che l’amicizia  con papa Gregorio VII celasse in realtà una relazione amorosa. Per contro, i suoi seguaci le conferirono un alone di santità nella costante battaglia a favore del potere papale. 

Reazioni, del resto, che non sarebbero tuttora rare, bensì subdolamente serpeggianti nell’eterno stereotipo;  o moglie, o santa, o mondana.

Castello di Bianello (Reggio Emilia), insediamento CanossianoCastello di Bianello (Reggio Emilia), insediamento Canossiano

Fatto sta che la vita per Matilde non fu mai facile, confrontandosi spesso con situazioni alquanto impegnative, di isolamento in ambienti selvaggi e solitudine. Una vita ben lontana da quella che una tipica contessa del tempo avrebbe sperimentato.  Molteplici furono le circostanze in cui la donna doveva essersi sentita sola nei suoi guai. Subito dopo l’assassinio del padre, che avvenne quando lei aveva quasi sei anni, perse il fratellino e la sorellina.

La piccola Matilde imparò presto l’arte della sopravvivenza.

Davanti a sé, un futuro imminente di responsabilità e grane da affrontare insieme alla madre. Il fatto poi che quest’ultima fosse unita con legami di parentela a regnanti germanici, non facilitava di certo la gestione dell’eredità capitata all’improvviso tra capo e collo.

Entrambe avevano ereditato il pesante fardello dei feudi Canossiani in un periodo turbolento, contraddistinto da feroci lotte per le investiture, che vedeva contrapposti il papato e l’impero nella nomina dei propri alti rappresentanti. Entrambe avrebbero preferito rinunciare a tutto e chiudersi in monastero.

All’età di 30 anni, rimasta orfana di madre, toccò a Matilde occuparsi di tutto.

Fu coinvolta direttamente, dal 1080 al 1092, nella lunga e lacerante guerra dalla parte del papa contro l’imperatore. Una guerra, costellata da vittorie, ma anche cocenti sconfitte. Fu accusata di seminare odio tra gli stessi cristiani e dovette confrontarsi con vassalli sempre più interessati a rafforzare il proprio potere, piuttosto che rincorrere i suoi stessi ideali. 

Nel corso degli anni, poi, molti dei suoi sostenitori la tradirono o morirono. 

Sempre in viaggio in lungo e in largo nei suoi vasti possedimenti, dalle terre a nord delle rive del Po fino a quelle laziali, accompagnava le sue truppe. Riposava o trovava rifugio nelle sue numerose, austere fortezze, disseminate su impervie alture o circondate da foreste intricate. A volte era costretta perfino a dormire all’addiaccio, come un soldato.

La storia la racconta come organizzatrice e fautrice di sanguinose battaglie, ma anche come donna soave, raffinata, a tratti malinconica.  Di certo, dotata di un forte spirito di sopravvivenza e autodeterminazione. 

Alla fine, la guerra intrapresa contro l’imperatore, Matilde la vinse, a modo suo.

                                          Castello di Rossena, a difesa di Canossa

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Nell’ottobre del 1092 la rocca di Canossa, assediata dalle truppe imperiali e difesa da quelle numerose che la contessa era riuscita a richiamare nell’ultimo, decisivo tentativo di non farsi sopraffare, sparì improvvisamente, avvolta dalla nebbia. 

Enrico IV, che vi era giunto agguerrito per giocarsi il tutto per tutto, fu costretto a far ritirare i suoi soldati. disorientati e smarriti di fronte alla fortezza fantasma. 

Nel mese di luglio dell’anno 1115 fu la contessa di Canossa a scomparire per sempre, o quasi. 

Dopo una vita in bilico tra l’essere belligerante per vocazione familiare, ideale religioso e politico o senso di dovere, e diventare monaca, aveva realizzato il suo intento; ritirarsi in monastero per condurre una vita contemplativa. forse riflettendo sugli orrori della guerra a cui aveva assistito in prima persona. 

Matilde trascorse tra la pace dei chiostri, ma afflitta dalla gotta, malanno dei benestanti, gli ultimi sprazzi della sua vita. 

La sua salma, probabilmente trattata per renderla eternamente presente, si svelò ancora intatta secoli dopo.

In tre circostanze, nel 1445, agli inizi del 1600 e nel 1644, fu esposta al pubblico che ne rimase impressionato per lo stato di conservazione. 

Tra i capelli ingrigiti della donna, trapassata alla soglia dei settant’anni, spiccavano ancora ciocche di colore rossastro.

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